Si forse ho esagerato...ma ecco un altro capitolo! Visto il titolo...tra poco se ne esce
CAPITOLO 5 – Ichiren OzakiRipensando, da adulta, ai due anni successivi, Chizu dovette accorgersi che non li ricordava affatto, se non come un periodo buio e indefinito, dominato da un’unica sensazione: la fame. La bambina aveva perennemente lo stomaco vuoto, perché nessuno provvedeva a lei.
Usciva ogni giorno con i ragazzi più grandi, che organizzavano le loro scorribande in piccoli gruppetti: di solito un bambino creava diversivi (si metteva a gridare, o a compiere acrobazie da saltimbanco) per distrarre le persone, e tutti gli altri ripulivano i malcapitati che si lasciavano imbambolare. Dopodichè, compiuto il furto, i ragazzi se la davano a gambe, nascondendosi dove potevano. Si ritrovavano poi in un altro punto della città, ricongiungendosi come seguendo un istinto innato, visto che raramente comunicavano tra loro attraverso parole. Quanto al procurarsi il cibo, ognuno provvedeva per sé. Spesso, se due bambini della banda si trovavano a rivaleggiare per lo stesso tozzo di formaggio o lisca di pesce, ne nasceva una rissa senza pietà, da cui entrambi uscivano malconci, e uno solo fuggiva con la preda.
Chizu non era brava in nessuna di queste cose. Non riusciva a distrarre le persone, perché il suo bellissimo visetto, che incantava i passanti quando era solo una neonata in braccio a Ruriko, era nascosto sotto una ripugnante maschera di sporco, e tutti la scansavano. Non era abbastanza scaltra da indovinare dove le persone tenevano i borsellini, e non sapeva sottrarli con destrezza: veniva quasi sempre scoperta e scacciata via. Non era svelta a scappare se inseguita, perché aveva le gambette troppo corte, e spesso perdeva di vista il gruppo dei ragazzi, che la lasciavano sempre indietro. Allora era costretta a tornare a casa da sola, certa di essere battuta dai Takebata che si spazientivano nel vederla a mani vuote.
Quanto al cibo, mangiava un giorno su tre quando le andava bene, e solo grazie alla pietà di qualche donna che lavorava in un ristorante, o quando vinceva nel contendersi la spazzatura con i gatti randagi. A sette anni, Chizu era pallida ed emaciata, con un’espressione indicibilmente vuota sul viso. Morta Ruriko, non aveva più avuto contatti umani, e a stento ricordava come si faceva a parlare. Nessuna delle sue emozioni era umana: la sua anima era come narcotizzata dall’unica, lancinante e perenne sensazione di fame che veniva dal suo stomaco. Solo ogni tanto, di notte, mentre fissava il soffitto con i suoi occhioni verdi resi opachi dall’assenza di coscienza, sentiva una lacrima scivolarle per le guance pensando a quanto le mancavano le storie di Ruriko.
-Ti sei fatta scoprire di nuovo – le urlò un giorno il signor Takebata, furioso. – Ora ne ho veramente abbastanza. Ti concedo un’ultima possibilità: andrai da sola in città, e ti intrufolerai nell’edificio che preferisci. Se non riesci a tornare con qualcosa di valore, giuro che ti vendo alla prima casa di prostitute che trovo. Non ho certo intenzione di continuare ad ospitare una fannullona come te! E se non riuscirò a venderti, saprò come usarti come concime per il nespolo! Ora fila via!
La sbattè in strada con una pedata, e chiuse violentemente la porta. Chizu restò qualche istante in ginocchio sull’acciottolato, poi faticosamente si alzò e, a testa bassa, si incamminò lentamente verso la città.
***
-Bene, prossima scena! – gridò il regista con un ampio e deciso gesto del braccio, amplificato dal copione che teneva arrotolato in mano. Sembrava un generale che arringasse le truppe. Ubbidienti, gli attori si avvicendarono sul palco per la prova della scena successiva.
-Domani è la prima, eh, Ozaki-san? – bisbigliò sorridendo e fregandosi le mani il direttore della compagnia teatrale, un omino grasso e calvo dalla faccia gioviale che si era avvicinato al regista. – E’ soddisfatto?I miei attori sono all’altezza della sua regia?
-I suoi attori sono molto validi, Takeshi-san, e hanno lavorato duro – rispose Ozaki, senza staccare gli occhi dal palco dove era cominciata l’azione. Era la prova generale in costume, e l’attenzione doveva essere massima. – Ne ho individuati un paio che vorrei con me a Tokio per il prossimo spettacolo del teatro Gekko.
-Certamente – rispose il direttore. – Kasuke Ozaki è un mio grande amico, e per me essere d’aiuto a suo figlio è un piacere e un onore.
-La ringrazio Takeshi-san. Ora per cortesia, faccia silenzio.
-Certo, certo, Ozaki – san.
Ozaki tornò a fissare il palco con grande attenzione, con le braccia conserte e il volto teso, come se avesse paura che una singola parola o gesto degli attori potesse sfuggire al suo vaglio. Ichiren Ozaki aveva solo 21 anni, ma il suo nome, nell’ambiente del teatro di Tokio, era già sinonimo di perfezione scenica e rigore. Si occupava di regia e sceneggiatura nei teatri in cui suo padre, uomo facoltoso e mecenate, investiva; il suo quartier generale era il teatro Gekko di Tokio.
Il padre di Ichiren Ozaki, Kasuke, era un uomo ricco di famiglia, che possedeva diverse proprietà e molte terre in varie regioni del Giappone, e aveva saputo come investire le proprie sostanze in modo saggio, facendole fruttare considerevolmente. In gioventù aveva molto viaggiato, soprattutto in Europa, visitando in particolare l’Italia, la Francia e la Gran Bretagna. Dall’Europa era tornato con una moglie inglese, e con una grande passione per il teatro occidentale, cosa che fece la sua fortuna nell’era Meiji. Tornato in Giappone, infatti, investì in diversi teatri, attraverso i quali le opere dei maggiori drammaturghi occidentali divennero conosciute in un Paese che andava liberandosi da un millenario isolamento, per aprirsi al resto del mondo. Allevò suo figlio Ichiren, che aveva ereditato i capelli chiari e gli occhi color nocciola della madre, nella passione per il teatro, tanto che il precoce talento del ragazzo non tardò a svelarsi. A soli quattordici anni Ichiren scrisse la sua prima sceneggiatura. A sedici, diresse la prima opera teatrale. Rispettoso della tradizione, ma capace di interpretazioni moderne, Ichren alternava sul proprio palcoscenico spettacoli di teatro no a opere europee di contenuto passionale e rivoluzionario. In breve tempo era diventato un’autorità nella drammaturgia di Tokio.
Il sipario calò sull’ultima scena della commedia.
-Bene, potete andare. E domani, siate puntuali.
-Si, sensei!
Dai suoi occhi brillanti gli attori potevano capire quanto Ozaki fosse soddisfatto. Raramente esprimeva il suo parere a parole, se era un parere favorevole. Gli attori si inchinarono, e si recarono ai camerini per cambiarsi. E da uno dei camerini, all’improvviso, partì lo strillo di una donna spaventata.
-Ah!Al ladro! Al ladro!
A quell’urlo una figuretta minuta schizzò via correndo, con uno scrigno di gioielli tra le braccia. Accorsero tutti gli attori, con gran trambusto, e la circondarono. La bambina – perché si trattava di Chizu – cercò di farsi largo tra tutte quelle gambe, ma qualcuno l’agguantò da dietro, immobilizzandola a terra e facendole cadere lo scrigno, che sparse tutto il suo contenuto sul pavimento.
-Brutta ragazzaccia! Ora ti faccio vedere io! – esclamò rabbioso l’uomo che l’aveva presa. Ma fu fermato da una voce autoritaria.
-Lasciatela stare! – gridò la voce, e tutti gli attori, immediatamente, ammutolirono e si fecero indietro, lasciando la bambina sola sul pavimento, talmente abbattuta che non cercò nemmeno di scappare.
Ichiren Ozaki gettò uno sguardo su quell’esserino sporco e scarmigliato, che singhiozzava rannicchiato sul pavimento. E nel preciso istante in cui i suoi occhi si posarono sulla bambina, la sua anima seppe che nulla, nella sua vita, sarebbe stato più come prima.
Continua...
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