| ATTO V
Era sprofondato in un mondo nuovo, irreale. Era lì insieme a lei. Nel suo mondo. Il mondo dell’arcobaleno. Quanto calore. Quanta passione. Quanto amore. E tutto questo era per lui. Solo ed esclusivamente per lui. Lo amava. Percepiva chiaramente e nitidamente tutto l’amore che era pronta a donargli. Doveva solo cogliere quell’immenso regalo che la vita, a dispetto di tutte le circostanze, gli stava dando. Dimentica il tuo nome e il tuo passato. Era pronto a questo passo? Sì, era pronto. Per lei sarebbe morto e risorto. Aveva trasformato il suo mondo. Lui ora viveva in un mondo generato e protetto dalla dea scarlatta. Dopo la sua interpretazione ogni cosa che lo circondava aveva un sapore diverso. Ora attendeva il responso della giuria, ma non aveva dubbi, Maya per lui era la dea scarlatta. La sola e l’unica. Sentiva le chiacchiere dei presenti lontane ed ovattatte. Rispondeva alle domande altrui in modo vago e assente. Non si era neppure accorto della lontananza di Shiori fino a quando lei stessa non gli aveva gentilmente appoggiato una mano sull’avambraccio dicendogli “Sono tornata. Ora, se non ti è di disturbo, mi accompagneresti alla macchina? Vorrei tornare a casa. Questo non è più posto per me” Non aveva proferito parola. Si muoveva come un automa in mezzo alla folla, composta da insigni esemplari del mondo dello spettacolo. “Siete una bellissima coppia. Attendiamo con ansia il vostro matrimonio”, aveva detto qualcuno fermandoli un istante. Shiori con grazia aveva risposto “Lei è molto gentile, ma temo che rimarrà deluso. Le nostre famiglie hanno annullato le nozze non ritenendo più questa unione utile ai nostri affari. Io e Masumi abbiamo concordato con la loro decisione. A breve ne verrà data la notizia ufficiale”. Non poteva credere a quelle parole. Era libero allora. Si era sempre chiesto che sapore avesse la libertà e ora non sapeva identificarlo. Arrivati alla macchina aveva provato un lieve senso di colpa. “Non vuoi rimanere fino alla designazione della vincitrice?” Shiori aveva sorriso lievemente. “No, grazie. Il motivo della mia venuta qui oggi è dovuto al fatto che volevo vedere l’amore delle anime gemelle. E ora, a malincuore devo dire che tu e Maya mi avete dato una grande lezione di vita. Sono stata da Maya prima e………….” Qualcosa oltre la sua spalla aveva attirato l’attenzione della sua ex futura moglie interrompendo, probabilmente, le ultime parole che avrebbe sentito proferire a quella donna. Hijiri con un enorme mazzo viola. Aveva temuto, sì, aveva temuto eccome, memore delle sue follie. Si era avvicinata al suo collaboratore con passo deciso e calzante. “Immagino che queste rose siano per la signorina Kitagima. Me le dia per favore!!!!!!” Era perentoria. “Shiori, ti prego, non è questo il luogo” aveva semplicemente detto in un tono di supplica mentre lei strappava letteralmente di mano il mazzo di rose destinato ad un’altra donna. Ne aveva assaporato il profumo con grazia e aveva sorriso. “Masumi, ritengo che in questo momento così importante debba essere il mittente in persona a consegnare questo pegno d’amore e non un surrogato. Io vado. Ti auguro tutte le fortune” Gli aveva messo in mano quel pegno d’amore, si era inchinata in segno di saluto e si era diretta verso la macchina. Non era il caso. No, proprio no. Era sconcertato da come si erano evoluti i fatti. Piacevolmente sorpreso anche. Ma per rivelare un segreto celato per anni non si sentiva assolutamente pronto. Aveva dunque sporto quei fiori birichini al suo emissario affinchè portasse a termine il suo compito. E lui aveva riso di gusto. Gli aveva voltato le spalle e si era allontanato salutandolo con un cenno della mano. “Hijiri torna qui!!!!!!!!!!!”. Nulla. Era rimasto lì come un povero allocco. Terrorizzato. Doveva muoversi. Presenziare all’assegnazione della nuova dea scarlatta. Se fosse mancato Maya non l’avrebbe mai perdonato. E poi ne aveva già a sufficienza per 5 vite di cose da farsi perdonare. Nel breve tragitto aveva cercato di trovare una scusa plausibile per quella nuvola viola che teneva tra le mani. Tremava. E mentre lui cercava ancora un modo per nascondersi, lei era diventata la nuova dea scarlatta. Quanto era bella. Indossava l’abito che lui le aveva regalato sull’Astoria. Era un po’ come esserle addosso. La guardava adorante. La vedeva cercare qualcuno tra la folla. Cercava lui. Lo sapeva. E lui continuava a tremare. Quando i loro sguardi si erano finalmente incrociali, le aveva sorriso debolmente. E aveva visto quegli occhi tanto amati riempirsi di lacrime. Era gioia, era dolore. Non lo sapeva. Non era in grado di leggere i suoi sguardi. Aveva le guance imporporate e aveva un gran caldo. E lei con gli occhi umidi e le mani giunte in segno di preghiera gli si era avvicinata. Ecco, era arrivato il momento. La sua condanna. Mentalmente si stava preparando a ricevere uno schiaffo in pieno viso. “Sono per me queste?” gli aveva detto in un soffio. Non era stato in grado di risponderle. Aveva semplicemente asserito con un cenno del capo. E lei aveva sorriso buttandogli letteralmente le braccia al collo, incurante di tutto il mondo intorno. Quel sorriso. Quel sorriso così magico e luminoso. Per lui, solo per lui. “Grazie” era tutto ciò che era stata in grado di dirgli. Con la sua voce calda, suadente. E lui aveva sentito il cuore scoppiare. Aveva risposto a quell’abbraccio così sincero. Con entrambe le braccia e con le rose. Erano un tutt’uno. Lei, lui e le rose. Non esisteva più spazio e tempo. Riuscivano con poco a creare una magia. Ma lui rimaneva il freddo e cinico presidente della Daito. E non poteva non notare il chiacchierio sempre più in crescendo e il ticchettio delle macchine fotografiche. Disturbavano il momento più importante della sua vita. Come osavano. Per un attimo, un flebile attimo, recuperò la sua maschera. Guardò in modo glaciale tutti i presenti. Faceva paura. Come sempre. Si era staccato da Maya lievemente e le aveva sussurrato “Vuoi fuggire con me?” Lei aveva semplicemente asserito sorridendogli. E così era stato. L’aveva presa per mano e avevano, insieme, iniziato a correre veloce. La folla di giornalisti, dopo un attimo di sconcerto, si erano gettati all’inseguimento. Sì erano letteralmente buttati dentro la macchina dell’uomo ombra, che, senza esitare, era partito a tutta velocità. Ridevano. Ridevano come non era mai capitato in vita loro. “Dove vi porto signor Masumi?” “A Izu, Hijiri, a Izu, grazie” Era arrossito come un ragazzino. E Maya aveva fatto lo stesso. Non riusciva a smettere di guardarla. Teneva ancora le rose strette in una mano. Il suo pegno d’amore in tutti quegli anni. “Queste sono per lei-le aveva detto porgendogliele- R-A-G-A-Z-Z-I-N-A” Maya aveva riso. “La ringrazio donatore delle rose scarlatte”. E l’aveva stretta a sé Si era sentito completo. Come si sentiva completo ora scrutando il sole sorgere dal mare. Era tempo di tornare da lei. Voleva esserle accanto al suo risveglio. Si era voltato per tornare a casa e l’aveva vista lì. Affacciata dalla grande terrazza che lo osservava in silenzio. Con indosso la sua camicia e gli occhi traboccanti d’amore. Era una dea. La sua dea.
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