Murasaki no Bara no Yume  - Glass no Kamen  * Il Grande Sogno di Maya * Anime, Manga, Drama, World e Fanwork

The Moon Shadow, Chigusa & Ichiren. Cominciò così...

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~*Floriana*~
view post Posted on 11/7/2010, 02:01




Dopo Le Porte del Destino , ci riprovo!
So che è un rischio, ma...speriamo bene!

Enjoy!

Sappiamo già come finisce...ecco com'è iniziata


The Glass Mask


The Moon Shadow - Parte prima


Sorge



CAPITOLO 1 – Midori

Non era che un’ombra scura nella notte. I capelli corvini acconciati nella crudele e sublime maniera che si conveniva alle donne del suo stato. Il raffinato kimono di seta verde scuro mandava bagliori d’argento che si perdevano nei ricami neri del tessuto. Un telo di seta nera copriva il canestro che portava appeso al braccio, e perfino il ticchettio dei suoi okobo neri sulla strada si perdeva nel silenzio notturno come il passaggio di uno spirito che teme la luce del giorno. Veniva avanti sulla via, il volto dipinto di bianco che spiccava come una luna piena nel buio, le labbra rosse come il peccato che aveva commesso, le sopracciglia, tracciate nette dal nerofumo, a fare ombra ai suoi splendidi occhi, insolitamente grandi e verdi, che l’avevano resa celebre tra le geishe della città.

Gli occhi verdi della geisha conosciuta come Midori Satsuki non versavano lacrime, e il suo volto bianco non mostrava emozione, mentre ella camminava a testa alta, ticchettando a passi piccoli e svelti sul selciato, come anni e anni di professione le avevano insegnato a fare. “Qualunque cosa accada, ricorda chi sei e quel che vali. Mai chinare il capo, mai lasciarti turbare”, le avevano insegnato, quando era solo una giovane maiko vergine. “Mai mostrare le tue vere emozioni. Chi ti incontra deve avere l’impressione di avere una visione divina: questo è il tuo valore. Gli uomini vengono con noi per avere l’illusione di portarsi a letto un angelo. Quindi, non devi mai dare l’impressione di essere una donna qualsiasi. Il trucco del tuo viso è la tua maschera, la tua difesa e la tua forza. Ma se la tua maschera si infrange, il tuo valore scompare”.

Dieci mesi prima, la maschera si era infranta. Midori Satsuki aveva commesso l’unico peccato che alle artiste dell’amore non si perdona mai: aveva amato veramente un uomo, come amano le “donne qualsiasi”. Egli era al seguito di un grosso capomafia locale, che l’aveva voluta ad una festa privata. Era giovane e aveva il viso di un angelo, anche se le sue mani erano già sporche di sangue. Midori aveva danzato tutta la sera per il capomafia, gli aveva versato il tè, aveva tenuto conversazione con lui solo. Ma il ragazzo dal viso d’angelo, discreto e senza mai muoversi dal suo posto, non le aveva tolto gli occhi di dosso nemmeno un momento, ed ella, da qualche parte nella sua anima, aveva subito compreso di chi fossero gli occhi che, tra tanti presenti nella sala, le bruciavano il cuore.

Quando Midori rientrò a casa quella notte, trovò il ragazzo dal viso d’angelo ad attenderla nel cortile. Da quel momento, e per un mese intero, si amarono ogni notte, di nascosto, guidati solo dalla disperata sete che avevano l’uno dell’altra a dispetto di ogni ragione, del loro passato, della loro età, della loro condizione. Ma quel che era inevitabile accadde. Il capomafia scoprì che il giovane amava la sua geisha, e senza pietà lo uccise. Midori restò confinata nella sua okiya per i nove mesi successivi, perché l’amore non è mai senza conseguenze, e una nuova vita stava fiorendo dentro di lei a causa dell’incontro con quell’angelo.

Poiché non aveva voluto abortire, Midori si era piegata al ricatto della padrona dell’okiya: in cambio della vita del neonato, dopo la sua nascita avrebbe lavorato per tutta la vita come schiava nell’okiya. Quando la bambina nacque – una splendida bambina, che aveva ereditato i tratti angelici del padre e i penetranti occhi verdi della madre – la padrona indicò a Midori un posto dove abbandonarla: la casa di due coniugi che raccoglievano trovatelli, e che, a tempo debito, forse avrebbero restituito la bambina all’okiya perché ripagasse il debito di sua madre.

Verso questa casa si incamminava quella notte Midori Satsuki, col suo viso inespressivo bianco come la luna tra le nubi nere e il canestro con la bimba infilato al braccio, seguita da una serva dell'okiya che la sorvegliava perchè non fuggisse. Aveva ottenuto di vestire, quella notte per l’ultima volta, gli abiti meravigliosi della sua professione, perché l’anima della bambina portasse nel suo inconscio l’immagine della madre, e del proprio stesso destino. Anche la piccola, un giorno, avrebbe portato abiti meravigliosi e una maschera sul volto. Anche lei sarebbe stata amata da uomini che le facevano ribrezzo, e avrebbe amato colui che era proibito amare.

Midori Satsuki depose la cesta davanti alla porta della casa. Sollevò il telo nero che la copriva, per vedere la piccola dormire ignara e serena. Non la baciò, perché ogni emozione era morta nel suo cuore. Ma, prima di scomparire come un’ombra nella notte, volle darle un nome che l’aiutasse a trovare la sua strada nel mondo, e nella cesta che era la sua prima culla depose un piccolo pezzo di stoffa che recava la scritta: Chizu.

Continua (spero...)
capitolo successivo

Edited by ~*Floriana*~ - 3/10/2010, 18:54
 
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briky
view post Posted on 11/7/2010, 10:07




Interessante hai iniziato a scrivere la storia della Tzuky, sono proprio curiosa di vedere come la svilupparei....sempre che tu voglia continuare....
 
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~*Floriana*~
view post Posted on 11/7/2010, 14:58




Grazie, lo prendo come un incoraggiamento!! ;)
 
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briky
view post Posted on 11/7/2010, 15:06




Certo che è un incoraggiamento.....
 
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Emer Kenobi
view post Posted on 12/7/2010, 14:23




Ah che bella idea! una ff sulla storia della tsuky! complimenti non è facile! bell'inzio... mi piace la storia che hai ideato sulle circostanze della sua nascita...
 
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~*Floriana*~
view post Posted on 12/7/2010, 14:33




Grazieee!
Però portarne avanti due è un po' difficile, soprattutto ora che in Le Porte del Destino sono in un momento molto delicato...comunque questo era un esperimento, mal che vada resta una one - shot...comunque spero proprio di continuarla perchè è da un po' che ho dei flash su questa storia e più o meno so già come raccontarla.
La Tsuki è un personaggio molto affascinante, e ho proprio voglia di farle un bel ritratto :) ho sempre pensato che sua madre potesse essere una geisha, in fin dei conti i punti di contatto (quelli artistici, ovviamente) tra quel tipo di professione e il teatro sono molti...

Edited by ~*Floriana*~ - 12/7/2010, 16:31
 
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view post Posted on 12/7/2010, 18:14
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Flo questa storia sulla Tsu,è molto bella , immaginare di avere una madre geisha , e come lei deve sempre indossare una maschera per non trapelare i suoi reali sentimenti , anche quando lascia la piccola tsuki , ma si comprende che lei voglia lasciare un segno con la scelta del nome che le dia un posto nel mondo .....straziante ......sperò che continuerai ....

Edited by ~*Floriana*~ - 12/7/2010, 19:23
 
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~*Floriana*~
view post Posted on 12/7/2010, 18:24




CITAZIONE
si comprende che lei voglia lasciare un segno con la scelta del nome che le dia un posto nel mondo

Grazie!
La cosa del nome per trovare il posto nel mondo è perchè "Chizu" tra le altre cose dovrebbe significare anche "mappa"...magari non c'entra niente, però è suggestivo, no? :)
 
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sabrinuzza
view post Posted on 13/7/2010, 10:45




Beh senza che mi dilunghi troppo, sai benissimo cosa penso di ogni tua ff e della tua arte letteraria, il mio unico avviso è: quando posti??? ::emoheart:
Bellissimo il punto di vista della tsukikage e molto impegnativo, mi raccomando fai del tuo meglio, come hai sempre fatto d'altronde!
un baciotto hanako :sorrisone:
 
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~*Floriana*~
view post Posted on 15/7/2010, 22:49




"arte letteraria"...eh eh eh

Una cosa sola prometto, ed è che posterò...sul quando, lo decide l'altra ff, che al momento mi sta asciugando le energie!

Aspettate, eh? ;)
 
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evis75
view post Posted on 15/7/2010, 22:59




ma certamente che aspettiamo!!!la storia promette bene!!!la piccola chizu frutto di un amore grande!!

chi sa come va avanti la storia...
 
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~*Floriana*~
view post Posted on 26/7/2010, 14:48




Questa storia continua a ribollirmi nella mente, quindi bisogna che continui...spero vi piaccia!

CAPITOLO 2 – I signori Takebata

-Ecco un altro regalino da parte di qualche donnaccia!
Così fu accolta la sua venuta nel mondo. Quando la signora Takebata aprì la porta la mattina dopo, e si ritrovò davanti il canestro con dentro la bimba, non mostrò nessuna sorpresa, ma si limitò a prendere su il cesto e a portarlo dentro casa per mostrarlo al marito.
I signori Takebata cominciarono ad esaminare minuziosamente la bambina, nella speranza che avesse addosso del denaro, ma la piccina aveva solo con sé quel pezzetto di stoffa.
-E questo cos’è?
-C’è scritto “Chizu”. Sarà il suo nome.
-Che lo sia o non lo sia, chiamiamola così. In qualche modo si dovrà pur chiamare, questa mocciosa.

La casa dove Chizu era capitata non era certo un ricovero di filantropi. I signori Takebata erano una coppia di tagliaborse, che allevava orfanelli per farne dei ladri alle proprie dipendenze. E anche dire che li allevassero era far loro un complimento. In realtà non facevano che dare ai bimbi un tetto sopra la testa, ammassandoli a decine nella stalla adiacente la casa. Quanto al vitto, ciascuno dei bambini doveva arrangiarsi con quello che riusciva a rubare durante il giorno. Chi non rubava, non mangiava: questa era la regola.
-E’ piuttosto carina – considerò il signor Takebata, guardando la pelle di porcellana, i capelli nerissimi e gli occhi color smeraldo della piccola Chizu, che in quel momento lo fissavano tondi e attoniti. –Magari è la figlia illegittima di qualche dama. Forse un giorno ne ricaveremo qualcosa.
-Certo – convenne la moglie. – Ma, dama o non dama, non la foraggeremo certo a latte e miele, aspettando che cresca e diventi merce di valore. Non aveva nemmeno un centesimo addosso, quindi ha già un debito con noi. Domani stesso cominceremo a farla lavorare.
E, chiamata una delle bambine più grandicelle, glie la mise in braccio.

-Ruriko – fece la signora Takebata rivolta alla bambina. – Questa è Chizu. Da domani lavorerà con te. Dovrai occuparti anche del suo cibo, oltre che del tuo, e la curerai finchè non sarà in grado di camminare da sola.
Ruriko fece un inchino furtivo, e presa la bimba dalle mani della donna, scappò portandosela nella stalla. Ruriko era una bambina di circa dieci anni, cenciosa ed emaciata quanto lo si può essere. La sua unica bellezza erano gli occhi, insolitamente grandi e dolci, di uno splendido color nocciola screziato di venature dorate. Con la sua aria svagata, riusciva a distrarre i passanti raccontando storie vere o inventate, in modo così vivo che chiunque si fermava ad ascoltarla. E mentre gli ingenui prestavano attenzione alla piccola cantastorie, gli altri bambini dei Takebata si davano da fare sfilando borse, portafogli e foulard di seta, sganciando bracciali, collane e catene di orologi. Ruriko in questo modo era diventata la principale ricchezza della casa. Con quella bella bimba in braccio, pensavano i Takebata, certo le storie di Ruriko sarebbero diventate ancora più interessanti. E più redditizie.

Al suo secondo giorno di vita, quindi, la piccola Chizu cominciò a lavorare. Ruriko se la portava in giro nelle fiere, nei mercati, alle feste di piazza, fuori dai teatri: ovunque la gente brulicasse volentieri con l’intento di divertirsi e perdere tempo. In questi posti la bambina abbindolava i passanti, con in braccio quella piccina dagli occhi verdi, che spacciava per la sua sorellina e che con la sua bellezza attirava ancora di più la simpatia delle persone. Grazie a Ruriko e Chizu, la banda di ladruncoli dei Takebata potè racimolare considerevoli bottini ogni giorno. Quanto alle due bambine, esse mangiavano con quelle poche monetine che i passanti regalavano loro in cambio delle storie che ascoltavano.

Ruriko, che non aveva mai posseduto giocattoli, era entusiasta di Chizu, che trattava come la sua bambola viva. La cambiava, la cullava per farla addormentare e per farla smettere di piangere, e trovava naturale cercare il cibo anche per lei. Del resto, mendicare con la bimba in braccio era più semplice, perché le venditrici di pane o caramelle si facevano incantare facilmente dagli occhioni di Chizu.
Passavano tutta la giornata a vagare per i rutilanti quartieri della città, dove la più nera miseria si mescolava alle più varie forme d’arte, dove il mendicante e la geisha camminavano a pochi passi l’uno dall’altra, dove templi e locali equivoci condividevano la stessa strada. La neonata assorbiva quel clima inconsciamente, ancora avvolta com’era nelle nebbie dell’incoscienza, e senza rendersene conto cresceva giorno dopo giorno alla musica della voce di Ruriko e delle sue storie.

Tutt’altra atmosfera attendeva le due bambine al ritorno nella stalla dei Takebata. Botte e frustate continue erano le sole carezze da parte dei due coniugi, risse per accaparrarsi il pagliericcio più asciutto o un avanzo di pane erano i soli contatti che avevano con gli altri bambini. In quella casa non si diceva nessuna parola che non fosse un insulto gridato o una maligna imprecazione. Per questo motivo Ruriko, che fuori casa non faceva che raccontare storie meravigliose, a casa Takebata non pronunciava parola. E, crescendo, Chizu fece come lei.

CAPITOLO 3 – Un’artista

A quattro anni, Chizu non sapeva dire che poche parole stentate. Appena fu in grado di stare in piedi da sola, le furono assegnate le prime incombenze: pulire i pavimenti, prendere l’acqua dal pozzo, ripiegare i foulard di seta rubati, che poi i Takebata rivendevano sul mercato nero. Non conosceva la differenza tra bene e male, e non aveva mai tentato di scappare, come nessuno dei bambini dei Takebata: per loro, semplicemente, quella era la vita, e non pensavano nemmeno lontanamente che potesse esisterne un’altra.

Finite le faccende di casa, Ruriko prendeva Chizu per mano e insieme trotterellavano fuori, in cerca di persone da ingannare con le loro storie, ma, soprattutto, in cerca dei bei colori vivi della città. Con Ruriko, Chizu non stava male: da lei aveva imparato le sole parole che conoscesse, ed era lei l’unica persona con cui comunicasse senza ricevere botte. Stava accanto a lei mentre raccontava le sue storie ai passanti e, pur senza capirci molto, era affascinata dalla sua voce e dal suo modo di gesticolare parlando.

Ruriko conosceva tutti i locali più strani e tutti i teatri. Spesso si introducevano di nascosto in una sala cinematografica per veder proiettare quelle immagini in bianco e nero che sembravano uscite da un mondo inesistente, e quegli uomini e donne che si muovevano in maniera strana muovendo la bocca senza emettere suoni. Chizu fissava lo schermo senza capire, e guardava il pubblico ridere, divertirsi e battere le mani ad occhi spalancati, come davanti a un mistero di cui non afferrava il senso.

Un giorno di mercato, un uomo cominciò a seguirle e, quando furono giunte nei pressi di un vicolo cieco, mise una mano sulla spalla di Ruriko, per farla fermare. La ragazzina scambiò qualche parola con l’uomo, poi disse a Chizu: - Aspetta qui.
-Dove vai? – chiese la bimba, che aveva paura di restare da sola tra quella folla.
-Non muoverti di qui, torno tra poco – disse Ruriko con la sua voce musicale, e sparì nel vicolo insieme a quell’uomo.
Rimasta sola, Chizu cominciò girovagare, finchè giunse accanto al recinto di un tempio, dove vide una bellissima signora. Indossava un finissimo kimono di seta ricamata, aveva i capelli ben acconciati e il volto, dipinto di bianco, atteggiato ad un’espressione dolce e statica, come una maschera. Reggeva un grazioso ombrellino e aveva il capo reclinato da una parte, con un dolce sorriso rivolto proprio a lei.

-E tu chi sei, bella bimba? Ti sei persa? – le disse la signora.
-Sono Chizu. Tu chi sei?
La signora rise, come ridono i campanelli d’argento.
-Sono una geisha – rispose.
Chizu sgranò gli occhi. – E che vuol dire? – volle sapere. Quella parola le ricordava qualcosa, come una strana malinconia.
-Sono un’artista – spiegò la signora, con il suo dolce sorriso.
-Anche io voglio essere un’artista – replicò la bimba, convinta. La signora rise ancora del suo riso d’argento, e di lì a poco si allontanò con un uomo, che le si era accostato vicino al recinto del tempio.

Chizu guardava ancora la bella signora allontanarsi, quando Ruriko la raggiunse di corsa.
-Sei qui! Ti avevo detto di non allontanarti – fece la ragazzina, ansando.
-Ruriko, anche tu sei una geisha? – domandò seria seria la bambina, ricordando di averla vista allontanarsi con un uomo.
-Certo che no, o non starei dai Takebata – fece Ruriko, arrossendo in modo strano. – Comunque, guarda adesso cos’ho! – trionfante, le porse una mela candita, addentandone a sua volta un’altra che aveva in mano.
-Anche io voglio essere una geisha – affermò Chizu, masticando.
Ruriko smise subito di mangiare e la guardò tristemente.
-Non è bello andare con gli uomini quando non vuoi – mormorò. – Ma bisogna pur mangiare.
Chizu la guardò senza capire. Quella sera tornarono dai Takebata senza più dire una parola.

Continua...
capitolo successivo

Edited by ~*Floriana*~ - 27/7/2010, 09:26
 
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Astrifiammante7
view post Posted on 27/7/2010, 06:41




Bravissima Floriana, hai descritto una situazione molto veritiera. Sicuramente l'infanzia ( se così si può chiamare) della Sensei, è stata vissuta in questa maniera.
 
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~*Floriana*~
view post Posted on 27/7/2010, 08:19




Grazie!!
Col prossimo capitolo arriviamo alla svolta dei sette anni ;)
 
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Emer Kenobi
view post Posted on 27/7/2010, 12:35




Sempre più bello Flo! stai descrivendo benissimo sia l'infanzia della Tsuky in sè ma anche un bell'affresco di un periodo storico del Giappone... mi ricorda molto Memorie di una Geisha (non ho ancora letto il libro, ma il film mi era veramente piaciuto)... e in fondo la storia della Tsuky è molto simile...strano che la Miuchi non abbia mai accennato alle Geishe.
 
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239 replies since 11/7/2010, 02:01   4107 views
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